Taglio dei parlamentari e riforma regionalista: i loro nessi e il nostro rifiuto

La pessima riforma relativa al taglio dei parlamentari che ha avuto il suo architrave nel Movimento 5 Stelle, sostenuta a geometria variabile da tutte le principali forze politiche nel corso delle varie letture (Lega prima, PD e satelliti, poi, senza scordare Fratelli d’Italia che vantava sui social il suo appoggio “determinante”), dimostra quanto caricaturali siano le differenze fra le forze politiche euroatlantiche dello scenario italiano.

A tale ceto politico si dovrebbe anzitutto chiedere conto dei ‘costi’ pagati dalla popolazione italiana per l’adesione al quadro sistemico euroatlantico: un prezzo da far impallidire le risorse indirizzate al funzionamento delle istituzioni pubbliche. Privatizzazioni, tagli al sociale e ai servizi pubblici essenziali, esternalizzazioni, decostruzioni delle garanzie nei rapporti di lavoro, deindustrializzazione… lungo è l’elenco di politiche derivanti da quella filiera che hanno portato alla prostrazione economica e sociale attuale.

Vi è però un elemento di merito che salda indissolubilmente il rifiuto della riforma costituzionale con l’opposizione al regionalismo differenziato su cui Indipendenza è attivamente impegnata: il fatto che, riducendo i parlamentari, aumenta il peso specifico dei delegati regionali (rimasti invariati) che si aggiungono alle Camere in seduta comune nell’elezione del presidente della Repubblica.
Un fatto non indifferente se si pensa che nelle prime tre votazioni è richiesta una maggioranza dei due terzi per l’elezione, ma dalla quarta è sufficiente quella assoluta (art. 83). Tradizionalmente le amministrazioni regionali sono state sempre orientate a destra e non è difficile leggere cosa ciò implichi alla luce delle mire maggioritarie mai nascoste né dalle destre né, altrettanto, dal PD, sullo sfondo della prospettiva di referendum promosso dalla Lega nell’ottica di spazzare via la quota proporzionale nel sistema elettorale.

Non è certo un mistero, poi, che le forze conservatrici se non apertamente reazionarie del Paese, oggi trainate dall’accoppiata Salvini-Meloni, abbiano da sempre avuto di mira il controllo della presidenza della Repubblica, possibilmente con l’introduzione del presidenzialismo: una certa vulgata giornalistica, tutt’altro che disinteressata, ha trasmesso l’idea che tale figura sia una sorta di carica onorifica per politici a fine carriera, ma la realtà e la pervasività dei poteri del Presidente sono tutt’altro che secondari seppure esercitati storicamente con sensibilità molto diverse.
C’è però un elemento che differenzia il Presidente della Repubblica dagli altri organi costituzionali: è l’unica istituzione del nostro ordinamento che non sottostà alla divisione dei poteri, compartecipando difatti di funzioni in tutti e tre i fondamentali poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) ed proprio a ciò che quelle forze puntano, poter intervenire su ogni versante della vita istituzionale attraverso una figura che sia espressione di quella cultura politica. Un encomio, quindi, va al Movimento 5 Stelle che ha ricoperto il ruolo di utile idiota con impeccabile zelo, non prima di essersi rimangiato con disinvoltura praticamente tutte le promesse (opposizione alla TAV, TAP, questione ILVA, programma F-35, collocazione internazionale dell’Italia in particolare rispetto ai vincoli derivanti dall’Unione Europea…) fatte nella fase di trionfante ascesa nel consenso.

Tralasciando il fatto che, con la proporzionale riduzione delle commissioni parlamentari permanenti, potremo trovarci con leggi approvate da un gruppo di persone attorno a un tavolo, visto che la commissione in sede deliberante esercita una vera e propria funzione legislativa (art. 72 Costituzione), è evidente che il taglio vada inquadrato nel più generale svuotamento dello Stato nazionale in favore dell’Unione Europea e degli altri enti sovranazionali verso l’alto, e delle regioni verso il basso.

Lungi dall’essere un fatto aritmetico, quindi, questa riforma modifica in modo sensibile la costituzione materiale contribuendo a quella deformazione della natura parlamentare che, in teoria, dovrebbe esserci propria ma che da almeno tre decenni subisce attacchi frontali sul piano del riparto delle competenze fra Stato e regioni (riforma del 2001 del Titolo V, di cui l’autonomia differenziata è sviluppo), della devoluzione di ambiti sempre più ampi all’Unione Europea e, non da ultimo, tramite l’affiancamento agli organi elettivi delle ‘autorità indipendenti’ espressione immediata e diretta delle culture istituzionali sovranazionali con amplissimi poteri al di fuori del controllo democratico e della responsabilità elettorale. In altri termini, sempre meno democrazia e sempre meno rappresentativa.

Questi saranno i temi che Indipendenza intende portare nella campagna per il NO al referendum costituzionale, snodo di una più ampia serie di iniziative finalizzate alla mobilitazione contro il modello dominante. È in tal senso importante che si coordino le individualità e le organizzazioni che, con varie sensibilità, intendono rovesciare gli attuali rapporti di forza ambendo a un assetto sociale ed economico su basi radicalmente rinnovate rispetto alle attuali.

Indipendenza
12 gennaio 2020

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Lega e regionalismo differenziato

Integrazione europea e regionalismo differenziato: dentro la decostruzione dello Stato nazionale

Sergio Mattarella a Belluno: regionalismo differenziato

Senza critica all’Unione Europea, nessuna critica al regionalismo differenziato ha senso

Paolo Maddalena in opposizione al regionalismo differenziato

Regionalismo differenziato, questione settentrionale e puntini sulle “i”

Dopo il referendum in Veneto e Lombardia: quali prospettive

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Il lato oscuro del regionalismo differenziato

Nella retorica delle forze politiche –tutte– che a vario titolo hanno sostenuto le iniziative referendarie autonomiste in Veneto e Lombardia (22 ottobre 2017) era sotteso un messaggio che si può riassumere in questi termini: “sostenere il referendum autonomista è comunque un elemento positivo per tutto il Paese perché avvicina i cittadini alle scelte politiche e in prospettiva porterà a maggiore efficienza con una responsabilizzazione degli enti regionali rispetto alle risorse dei loro territori: le regioni del Nord sono maggiormente ‘pronte’ e quindi è giusto che inizino questo percorso”. Tra l’altro questa era la retorica agitata dalla ‘democratica’ Emilia Romagna supinamente accodatasi ai leghisti veneti e lombardi.

Ora, al di là del fatto che nessuna emancipazione sociale è possibile all’interno del quadro vincolistico eurounitario né che mai è stato in discussione alcuno sganciamento dalle politiche neoliberiste derivanti da tale istituzione, c’è un elemento assolutamente sottovalutato, cioè che l’iniziativa fosse stata concepita come apertamente secessionista.
Andiamo con ordine.

All’inizio del 2014 gruppi indipendentisti veneti lanciano la votazione on line plebiscito.eu per domandare l’indipendenza del Veneto. Zaia si schiera a favore dell’iniziativa e spiega a chiare lettere come intende proseguirne il solco e, nei fatti, la legittima. 

In quello stesso anno si tiene il Basta Euro Tour di Claudio Borghi in concomitanza con la campagna per le elezioni europee, con una tappa anche a Treviso. A quell’appuntamento partecipa anche Luca Zaia, con un intervento che dice meglio di chiunque altro la strumentalità delle posizioni ‘eurocritiche’ della Lega, che in realtà è da sempre un partito vassallo della Germania e della sua orbita di dominio:

Poche settimane dopo viene emanata la legge regionale del Veneto 16/2014 con inequivoco titolo: “Indizione del referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto” .

Tale legge, naturalmente, cadde sotto la scure della Corte Costituzionale con la sentenza 118/2015, di cui si cita il passaggio chiave: “Una iniziativa referendaria che, come quella in esame, contraddica l’unità della Repubblica non potrebbe mai tradursi in un legittimo esercizio del potere da parte delle istituzioni regionali e si pone perciò extra ordinem”.

Non solo quindi il brodo di coltura secessionista è evidente fin dalla genesi dell’operazione quanto, anche, la funzionalità di tale processo all’integrazione sovranazionale e all’attrazione delle aree del Nord Italia nella prospettiva di renderle dei satelliti del blocco economico-politico neocarolingio.

C’è un passaggio, però, su cui si richiama l’attenzione: l’agitazione dell’interesse ‘nazionale’ sbandierato dalle forze politiche dominanti per sdoganare le politiche austeritarie e l’adesione alla gabbia liberista dell’Unione Europea sono un mero paravento. Quando concretamente si tratta di contrastare dinamiche disgregative dell’unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Costituzione), provengano esse dall’interno come dall’esterno, le connivenze della nostra classe dirigente con i blocchi dominanti europei o atlantici non mancano di palesarsi.

“Indipendenza” rifiuta questo stato di cose, anzi è attivamente impegnata per organizzare politicamente il contrasto a questa nuova, inedita, modalità disgregativa del nostro quadro istituzionale, politico ed economico.

Indipendenza
14 febbraio 2019

La bozza dell’intesa da roars.it 

Regionalismo differenziato, questione settentrionale e puntini sulle “i”

Dopo il referendum in Veneto e Lombardia: quali prospettive

Al referendum sull’autonomia in Lombardia e Veneto vota “NO”

Indipendenza per il NO al referendum sull’autonomia del 22 ottobre in Veneto e Lombardia

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Regionalismo differenziato, questione settentrionale e puntini sulle “i”

Indipendenza è stata, fin dalle prime battute della campagna referendaria (estate 2017), una delle pochissime organizzazioni apertamente schieratesi per il NO al referendum autonomista in Veneto e Lombardia, così come all’analogo processo avviato dall’Emilia Romagna, promuovendo una campagna di controinformazione sia attraverso iniziative pubbliche sia attraverso la pagina facebook .  Prima di Natale una sintetica messa a punto ad un anno di distanza.

Una primogenitura che intendiamo evidenziare alla luce degli allarmi ultimamente espressi da settori dei sindacati del comparto scuola da organizzazioni politiche della sinistra, da singoli esponenti intellettuali, da centri di studio.

Apprezziamo questi interventi e prese di posizione e ribadiamo la disponibilità a co/promuovere iniziative di opposizione ma altrettanto non possiamo che stigmatizzarne la tardività e la parzialità: la tardività perché durante la campagna referendaria sono stati lasciati dilagare la Lega e i suoi messaggi, permettendo a tale partito di egemonizzare il disagio delle regioni del Nord incassandone il correlato dividendo elettorale su temi oggettivamente urgenti (alleggerimento della pressione fiscale per i ceti territorialmente vincolati, crisi dei servizi pubblici locali che, nonostante la vulgata, colpisce pesantemente anche il Nord Italia, restringimento del credito bancario a famiglie e imprese etc..), parzialità perché nelle forze che stanno criticando il processo di differenziazione in atto nulla viene detto sul ruolo dell’Unione Europea e sul fatto che, senza metterne in discussione le linee d’indirizzo pro mercato e sostanzialmente a uso e consumo del blocco Nord Europeo (Germania in primis), nessuno dei problemi del Nord verranno risolti, anzi il processo di disgregazione nazionale in atto è funzionale a disarticolare un potenziale concorrente del blocco dominante europeo.
Anche nelle critiche che stanno emergendo, quindi, l’impianto vincolistico comunitario ispiratore della riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 (l.cost.3/2001), nella quale appunto gli ‘statuti differenziati’ sono stati introdotti, non è oggetto di critica specifica, circoscrivendo il dibattito ad una caricaturale competizione fra il Nord e il Sud Italia, come se ci fosse una divaricazione di necessità e bisogni: l’urgenza a ogni latitudine è la liberazione dal giogo euroatlantico. Il resto sono chiacchiere.

Va detto, in questo senso, che tutti i partiti hanno espresso il loro assenso a quello che è stato impostato come un plebiscito e una successiva ‘differenziazione’ orchestrati per dirottare il malcontento verso ‘Roma’ anziché verso Bruxelles e Francoforte, due piccioni con una fava: distogliere dal vero problema la parte più ricca e popolosa del Paese e indirizzare su un binario morto le rivendicazioni di cambiamento. Il giogo europeo non sarà scalfito in nulla dal processo di differenziazione avviato, anzi; mentre si sproloquia di ‘tutela del Made in Italy’ e delle produzioni tradizionali, di sostegno alle piccole e medie imprese, di avvicinare la politica ai territori, si viene attratti nell’orbita di una organizzazione politica, l’UE, costruita su misura per le multinazionali, lontanissime dal modello di impresa del Nord Italia, rendendo le istituzioni locali –in ragione dei vincoli di finanza pubblica– dei meri notai dei desiderata europei, sostenendo la più supina omologazione culturale ed economica nel nome della deregolamentazione del mercato.

Come dicevamo durante la campagna elettorale, nel commentare l’iniziativa dei ‘governatori’ (Zaia e Maroni): il vero governatore ha inserito il pilota automatico, facendo riferimento alla lapidaria frase di Mario Draghi. Senza mettere in discussione il progetto di integrazione europea, nessun cambiamento ed emancipazione sono possibili, a Nord come a Sud.

Indipendenza

30 gennaio 2019

Dopo il referendum in Veneto e Lombardia: quali prospettive

Al referendum sull’autonomia in Lombardia e Veneto vota “NO”

Indipendenza per il NO al referendum sull’autonomia del 22 ottobre in Veneto e Lombardia

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Referendum autonomista un anno dopo: quali snodi attorno al Veneto

Zaia annuncia il ‘regalo di Natale per i veneti’: il percorso di differenziazione dello Statuto arriva in Consiglio dei Ministri. Chiunque fosse dotato delle basilari capacità di analisi politica avrebbe potuto capire che dietro la carnevalata del ‘referendum autonomista’ dello scorso anno ci fosse ben altro rispetto alle smanie di protagonismo di Zaia e sodali. Oggi il quadro si sta delineando in modo molto chiaro: strade (Pedemontana su tuttecontro ferrovie, istruzione regionalizzata e di fatto smantellata (qui il dossier di Roars , e questo sempre sul tema istruzione qui il nostro precedente comunicato) ma, non da ultimo, i risvolti nazionali della vicenda. La critica, ovviamente, non è da rivolgere primariamente alla Lega, quanto all’insipienza rinunciataria degli astensionisti, in particolare ‘progressisti’ con la puzzetta sotto il naso, oltre che con gli utili idioti del SI (PD, FI, M5S…). Questo articolo di Mauro Ammirati è interessante, forse un po’ troppo filogovernativo, ma coglie determinati passaggi del processo in atto.

Noi naturalmente manteniamo attiva la pagina del comitato per il NO al referendum autonomista che abbiamo promosso e invitiamo sempre lettori e simpatizzanti a unirsi nella lotta contro i veri usurpatori, del Nord come del Sud: UE, BCE, FMI, WTO e NATO. Essendo appena uscito il numero 45 della rivista, invitiamo ad acquistarlo, richiederlo e diffonderlo.

Dopo il referendum in Veneto e Lombardia: quali prospettive

Al referendum sull’autonomia in Lombardia e Veneto vota “NO”

Indipendenza per il NO al referendum sull’autonomia del 22 ottobre in Veneto e Lombardia

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